L imposta di registro «vuole» il rispetto del valore di mercato.
Fisco e compravendita di immobili: sotto la lente finisce il prezzo del bene oggetto di cessione. È rilevante il fatto che il prezzo dichiarato sia (o non sia) in linea con il suo valore di mercato? In particolare, gli uffici fiscali possono contestare che il prezzo dichiarato sia inferiore al valore di mercato? La risposta cambia se alla compravendita è applicabile l'imposta di registro oppure l'imposta sul valore aggiunto. Nel primo caso, se il valore di mercato è più elevato del prezzo dichiarato, l'ufficio può disconoscere la pretesa del contribuente di calcolare l'imposta di registro sul prezzo dichiarato e calcolarla, invece, sul valore di mercato del bene oggetto di trasferimento (articoli 51 e 52, Dpr 131/1986); inoltre, se il prezzo dichiarato è inferiore al valore di mercato del bene, ridotto di un quarto, l'ufficio può anche irrogare una sanzione che, salva l'applicazione del "ravvedimento" e della "definizione agevolata", va dal 100 al 200 per cento della maggiore imposta dovuta (articolo 71, comma 1, Dpr 131/1986). Fa eccezione il caso nel quale sia possibile applicare il principio del cosiddetto "prezzo-valore" (articolo 1, comma 497, legge 266/2005): in questa ipotesi, infatti, si prescinde sia dal prezzo pattuito sia dal valore corrente del bene, perché la base imponibile è rappresentata dalla rendita catastale moltiplicata per il coefficiente 115,5 (se l'acquirente ha i requisiti per l'agevolazione "prima casa") o per il coefficiente 126. I presupposti per applicare il "prezzo-valore" sono i seguenti: a) l'acquirente è una persona fisica; b) l'acquirente non agisce nell'esercizio di impresa o professione; c) la cessione è a titolo oneroso; d) il contratto ha a oggetto immobili a uso abitativo e relative pertinenze; e) si tratta di un contratto redatto da un notaio, ove è dichiarato l'intero prezzo pattuito ed è richiesta l'applicazione della tassazione con il principio del "prezzo-valore". Quando invece alla cessione si deve applicare l'Iva, la base imponibile è rappresentata dal corrispettivo pattuito (articolo 13, comma 1, Dpr 633/1972). Sempre in base al corrispettivo pattuito, inoltre, l'impresa cedente determina i propri componenti positivi di reddito (siano essi ricavi o plusvalenze). Perciò, nel caso dell'imposta di registro, dall'attività di accertamento del fisco può emergere una maggiore imposta da versare per il solo fatto che l'amministrazione dimostri che il valore del bene ceduto è superiore al prezzo dichiarato. Invece, nel caso dell'accertamento ai fini dell'Iva o delle imposte sui redditi, la maggiore imposta può essere pretesa solamente se dall'attività dell'ufficio si ricava la dimostrazione che una parte del corrispettivo è stata occultata. Questa dimostrazione può essere fornita dall'ufficio accertatore con due diverse modalità: a) provando la corresponsione del "nero" da parte dell'acquirente a favore del venditore (ad esempio, mediante indagini bancarie oppure con il ritrovamento di una contabilità "parallela", a latere di quella "ufficiale", o con il ritrovamento di contratti o quietanze che palesano la corresponsione di un prezzo maggiore rispetto a quello dichiarato, eccetera); b) mediante la prospettazione di presunzioni «gravi, precise e concordanti» (articolo 54, comma 2, Dpr 633/1972; pe articolo 39, comma 1, lettera d) Dpr 600/1973). La presunzione è un sistema di prova che si basa su un ragionamento induttivo, risalendo logicamente da un dato di fatto per giungere alla dimostrazione voluta: quindi, si dimostra un fatto ignoto partendo da un fatto noto. Non basta, però, una presunzione "semplice", e cioè una massima di esperienza, ma occorre che l'esistenza del fatto ignoto sia desunta con ragionevole certezza (gravità), che i fatti noti da cui il ragionamento parte non siano vaghi e generici (precisione) e che la dimostrazione avvenga sulla base di una pluralità di fatti convergenti (concordanza).Le indicazioniLe linee della circolare 18/E Gli uffici dovranno valutare, con riferimento alle controversie pendenti, se le motivazioni degli accertamenti impugnati si dimostrino comunque adeguate o se, invece, alla luce dell'intervenuta modifica normativa, si rivelino insufficienti, così da richiedere l'abbandono del contenzioso in corso, tenuto conto dello stato e grado del giudizio. Gli uffici coltiveranno il contenzioso qualora, in sede di controllo, l'infedeltà del corrispettivo dichiarato sia sostenuta, oltre che dal mero scostamento dello stesso rispetto al prezzo mediamente praticato per immobili della stessa specie o similari, anche da ulteriori elementi presuntivi idonei al fine di integrare la prova della pretesa.
Fonte: Il Sole 24 Ore
Fonte: Il Sole 24 Ore